DISCLAIMER per le code di paglia, i leoni da tastiera, e i grillini: questo pezzo parla di me, di quelli come me e di quelli completamente diversi da me, ma parla soprattutto dello stereotipo dello studente di Lettere nel Dipartimento di Scienze Umane dell'Università di L'Aquila. Nessuna persona realmente esistente corrisponde singolarmente alla descrizione che seguirà, ma ognuno di voi ha contribuito a modellarne meglio i contorni. Siatene orgogliosi, ma non troppo. Se invece studi Lettere e leggendo non ti identifichi nel soggetto in questione - COMPLIMENTI! - probabilmente hai gravi problemi sociali e forse un problema molto profondo da dover risolvere. In compenso potresti essere una persona normale.
Lo studente medio di Lettere è quello che si lamenta sempre.
E fa bene.
E fa bene.
Fa bene perché non ha una sede,
non ha i trasporti, non ha le lavagne, non ha i proiettori, non ha la messa in
sicurezza, non ha la mensa, non ha i libri né una biblioteca. Si lamenta prima
di tutto sui social network, facendo saggiamente luce sull'assolutamente mai stato cliché "i rappresentanti
non fanno un cazzo", senza sapere né chi sono, né come operano, né tutte
le limitazioni e le tempistiche alle quali devono sottostare, né che con una
petizione non si è mai risolta un'emerita sega, né che i rappresentanti in
realtà non fanno parte di una categoria di studenti che, fra una canna e
l'altra, ha anche il sacrosanto dovere di rendere perfetta la vita studentesca
dello studente medio di Lettere.
Egli (o ella, per gender equality)
però, di lamentarsi, ne ha ben donde, pur andando solo a braccio di cose di cui non capisce un cazzo. Può permettersi di lamentarsi senza cognizione di causa
in quanto lui studia Lettere, quindi vede il mondo da un'altra prospettiva -
una prospettiva più figa, sia chiaro. Essendo investito sin dalla nascita del carico ormonale di Kurt Cobain (o della disinvoltura sbarazzina di Nancy Spungen) si veste come gli pare ed ha
necessariamente degli spessi occhiali con montatura nera. Tale combo di stile, chiara espressione solo materiale di un carisma ben più radicato, gli conferisce il
divin potere, riservato solo agli studenti di Lettere, di essere meglio degli
altri; immune ai continui rosicamenti degli ingegneri, attivo socialmente,
frequentare posti indie, avere una subcultura su un freco di cose che con
Lettere non c'entrano niente ma che da un punto di vista squisitamente estetico-concettuale riescono a lambire i più eterogenei aspetti del sapere, avere una cameretta, un salone, una cucina, un
bagno e un'ala del Louvre piena di libri di letteratura tutti assolutamente
letti, da qualche parte una macchinetta fotografica che fa splendide macro ai
fiori d'estate con le api sopra, un account su qualche social artistico dove
pubblica(va) racconti brevi, poesie o pensieri, una certa predilezione per le
bevande della macchinetta diverse dal troppo mainstream caffè corto numero 11
da 38 /ˈjʊərəʊ
sɛntsssssss/, e quell'aria un po' così, non dissimile da quella di quelli che hanno
visto Genova. Poi, una volta certificato il bagaglio intellettual(oid)e di cui sopra -
ma non prima di aver superato i propedeudici "Storia delle seghe a mano"
e "Fondamenti di pensiero filosofico a cavallo fra '300 e '400 nel contesto delle battaglie austrovesuviane in Indocina citeriore T/A" - può finalmente ottenere il diploma di hipster.
Lo studente medio di Lettere poi,
di base, è comunista.
Ma comunista in senso moderno, ovvero nel senso che lui
SA che può ribaltare il mondo, solo che per oggi non gli va. Però lo sa, è
così, garantito. Gli sta sul cazzo l'Italia, il sistema universitario, vede
l'estero come unico spiraglio di salvezza e giusta ricompensa per i duri anni
di studio e l'indiscutibile acume sviluppato grazie a questi, si stecca i
pranzi, le sigarette, l'acohol, i viaggi, i libri e pure le ore di studio che
"tanto le cose da sape' so quelle", ed è con buona probabilità
impegnato in qualche crociata social-filopolitichaggiante che lo aiuta a
placare lo spirto guerrier ch'entro gli rugge. Nei casi di maggiore santità (rileggi: è sanTità, non sanità) è
anche vegetariano, se invece mira al Nobel non può esimersi dal veganesimo o
dallo straightedgismo. Egli, per via del suo spiccato spirito d'osservazione
copiaincollato dal carisma dei 45.000 personaggi letterari (fittizi) che ha dovuto
studiare, ai quali si ispira e ai quali non somiglierà mai, è disincantato dal
mondo, ha un'anima rivoluzionaria e pure una certa dose di sana saccenza, e ritiene
intelligentemente che ad ogni tornata elettorale universitaria sia saggio votare la lista o
le liste che sono nate da manco due settimane perché, ripete a se stesso e a
chi lo circonda, integerrimo, "i rappresentanti non fanno un cazzo". Se questa semplice frase che, ricordiamo, ha una valenza argomentale virtualmente illimitata, ma che il nostro ritiene opportuno limitare ad 1; se questa frase potesse essere una spilla di cui fregiarsi, lui la indosserebbe. Allora ritiene a furor di logica giusto votare chi pubblica il video più
ridicolo o il vademecum più populista perché egli, lo studente medio di
Lettere, sa che la sua vita fa schifo poiché i rappresentanti non fanno un
cazzo, mentre quelli che verranno (e che, per la cronaca, non hanno mai
tecnicamente fatto un cazzo) non potranno fare peggio. Almeno gli si dia un possibilità, che diamine.
Tutto ciò è lecitissimo, e bellissimo, ed è la democrazia.
La sera prima delle elezioni ha
un'originale illuminazione e comunica a spotted o a insulted che:
1) Gli sta sul cazzo l'UDU,
oppure;
2) Gli sta cul cazzo una
qualsiasi altra lista non-UDU, oppure;
3) I rappresentanti si fanno
vedere solo sotto le elezioni e tutta la farsa della campagna lede alla dignità di
costoro.
Meanwhile, mentre lui, alle 2 del
mattino, scriveva la sua apologia, c'erano tre tipi di rappresentanti in tre
luoghi diversi a fare tre cose diverse:
- I primi, non stavano facendo un cazzo
- I secondi, cercavano di capire come funziona photoshop
- I terzi, litigavano col ministro dell'Istruzione, la Rettrice, il direttore regionale ai trasporti, i membri del Consiglio d'Amministrazione, del Diritto allo Studio; stilavano la carta dello studente, si leggevano le note ministeriali, cercavano sul codice penale i migliori cavilli legali per far partire azioni serie, PONDERATE e inoppugnabili al fine di raggiungere, con calma ma certezza, l'obiettivo comune di un equo diritto allo studio. Ogni giorno, di ogni mese, di ogni fottuto anno.
Nell'arco dei suoi tre (diciamo
pure minimo quattro) anni di permanenza all'interno del dipartimento, lo
studente medio di Lettere si sarà lamentato tantissimo, prima, dopo e durante
le elezioni, avrà votato liste che, nate dal nulla, finiranno il loro corso
naturale così come sono nate: nel nulla, per semplice decorso degli eventi, come gli uragani, come le carestie, come il Movimento 5 Stelle. Ma non si domanderà mai come mai tutto
ciò sia potuto accadere! Un po' come la scopata con quella bruttina quando sei
completamente ubriaco: il giorno dopo hai vaghi ricordi di ciò che ti ha spinto
a fare quello che hai fatto, forse hai pure fatto 'na cazzata, ma oramai è andata, tanto il mondo farà schifo lo
stesso. E mica lo devo salvare veramente io. Io studio Lettere, questo faccio.
E mica davvero davvero uno non può mai sbagliare.
Poi ricordiamoci sempre che i rappresentanti non fanno un cazzo, quindi peggio di loro non si può certo essere. Si sà, meglio non fare nulla e avere la coscienza apposto che farsi eleggere per il semplice gusto di farsi insultare.
In tutto ciò alla fine dei suoi tre-diciamo-pure-quattro anni di studio
egli si ritroverà con un sacco di problemi risolti da chi non ha votato, senza manco essersene reso
conto e pensando, pensando davvero, di avercela fatta da solo.
Pace, criterio.
Pace, criterio.